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La sfiducia dei cittadini nei confronti della politica, e dei politici, è il presupposto fondamentale da cui partire per comprendere la crisi in cui versa la sfera pubblica contemporanea. Il significato stesso di politica, di partecipazione attiva alla vita pubblica, sembra legarsi a circostanze appartenenti ad un "mitico passato", mentre il significato odierno del termine si avvicina di più allo "spazio del torbido", al "luogo del compromesso che corrompe". E' in crisi l'insieme dei valori, politici e morali, della democrazia che permettevano al singolo di credere, riconoscersi ed agire in uno spazio pubblico come forma spontanea dell'aggregarsi sociale. Il cittadino, infatti, tende a percepire la politica non solo come una faccenda da professionisti (abili e onesti o incapaci e corrotti) ma, cosa assai più preoccupante, anche come ambito che non lo riguarda. La burocrazia, la tecnocrazia (1)  e la vita depoliticizzata  degli individui, riducono le reazioni del cittadino all'indifferenza, la condizione più pericolosa di un pensare acritico (2),  e meno responsabile nei confronti della vita collettiva.

La personalità dell'individuo è lo strumento attraverso il quale l'organizzazione sociale delle democrazie contemporanee perpetua se stessa, anziché il destinatario dei suoi servizi. Sono ridotte le possibilità di mettere in comune, nello spazio pubblico e per l'utile della comunità, sia le esperienze di vita personali, sia le competenze acquisite, poiché impera indisturbata la monetizzazione della vita umana, che intendo sia come abitudine diffusa di considerare le potenzialità umane e della natura in base ad un equivalente in denaro, sia come imperativo morale di valutare in guadagno economico ogni situazione. Ma nel momento in cui si valutano, in termini monetari, valori non economici (ad esempio i diritti degli individui), l'azione in pubblico tende a perdere la dirompenza e l'efficacia che si legava alla sua gratuità. Ogni movimento, ogni scambio, viene percepito come una "fatica" che va ripagata ("tutto ha un prezzo"), come contrazione di un debito che va saldato, o addirittura come perdita di tempo che va risarcita ("il tempo è denaro"), almeno "per coprire le spese".

Nelle coscienze individuali, l'agire insieme con altri implica sempre meno il bisogno di superare i problemi che la convivenza impone, e, sempre più, tentare una via, alternativa e parallela al lavoro, di guadagno personale. Non è tanto importante la collaborazione con gli altri, quanto lo è conoscerli e farseli amici, il che implica non tanto la naturale propensione alla socievolezza degli umani, quanto la possibilità di ricevere e contraccambiare "favori", a volte dentro e a volte fuori i limiti della legge. Il cittadino, infatti, che non si sente tutelato dallo Stato, ricerca altre garanzie: la sicurezza nell'accumulo personale di ricchezza. Stare con gli altri, stare fra gli altri, in questo modo diventa una mera forma di egoismo che cela, nell'ipocrisia di idee ed atteggiamenti, il tentativo di ottenere solo un rendiconto personale. Comunque vada, qualunque cosa accada, chiunque si abbia davanti, l'importante è che "le entrate siano superiori alle uscite". E se proprio non è possibile trarne guadagno, almeno che "la bilancia dei pagamenti sia in pareggio". L'interesse, fine a se stesso, di accumulare ricchezza, che inesorabilmente dilaga in forme raccapriccianti di spietato egoismo, rappresenta l'esatto opposto della volontà degli individui di incontrarsi e discutere per migliorare le condizioni comuni, nella certezza che sia il modo più intelligente attraverso il quale tutti, o almeno la maggior parte, possano stare meglio, anche economicamente. La mancanza, sempre più marcata, di gratuità nei rapporti umani, rafforza nel cittadino l'idea di spazio pubblico come luogo in cui entrare solamente in caso di un "pressante bisogno personale" (gli altri si arrangino) o a cui assistere, col piglio del critico più disgustato che osserva le peripezie di un "branco di pagliacci" che pensano solo a "riempirsi le tasche".

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