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La breve vita dei nostri antenati

 

Non arri­va­vano in molti fino a trent’anni.

La vec­chiaia era un pri­vi­le­gio di alberi e pie­tre.

L’infanzia durava quanto quella dei cuc­cioli di lupo.

Biso­gnava sbri­garsi, fare in tempo a vivere

prima che tra­mon­tasse il sole,

prima che cadesse la neve.

Le geni­trici tre­di­cenni,

i cer­ca­tori quat­trenni di nidi tra i giun­chi,

i capi­cac­cia ven­tenni –

un attimo prima non c’erano, già non ci sono più.

I capi dell’infinito si uni­vano in fretta.

Le fat­tuc­chiere bia­sci­ca­vano esor­ci­smi

con ancora tutti i denti della gio­vi­nezza.

Il figlio si faceva uomo sotto gli occhi del padre.

Il nipote nasceva sotto l’occhiata del nonno.

E del resto essi non con­ta­vano gli anni.

Con­ta­vano reti, pen­tole, capanni, asce.

Il tempo, così pro­digo con una qua­lun­que stella del cielo,

ten­deva loro una mano quasi vuota

e la ritraeva in fretta, come pen­tito.

ancora un passo, ancora due

lungo il fiume scin­til­lante

che dall’oscurità nasce e nell’oscurità scompare.

Non c’era un attimo da per­dere,

domande da rin­viare e illu­mi­na­zioni tar­dive,

se non le si erano avute per tempo.

La sag­gezza non poteva aspet­tare i capelli bian­chi.

Doveva vedere con chia­rezza, prima che fosse chiaro,

e udire ogni voce, prima che risonasse.

Il bene e il male –

ne sape­vano poco, ma tutto:

quando il male trionfa, il bene si cela;

quando il bene si mostra, il male si acquatta.

Nes­suno dei due si lascia vin­cere

o allon­ta­nare a una distanza defi­ni­tiva.

Ecco il per­ché di una gioia sem­pre tinta dal ter­rore,

d’una dispe­ra­zione mai disgiunta dalla spe­ranza.

La vita, per quanto lunga, sarà sem­pre breve.

Troppo breve per aggiun­gere qualcosa.

 

(Wislawa Szymborska, 25 Poesie, Arnoldo Mondadori, 1998)

 

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