Su tutti noi sono posate, come un manto, le regole. In alcuni casi è un manto che soffoca ed inibisce il movimento, in altri invece è un manto che protegge dalle intemperie e lascia sbocciare, protetta, la sensibilità più delicata. Le regole sono spesso il timone. Le regole sono, purtroppo altrettanto spesso, delle catene. Quindi una stessa condizione iniziale, quella del vivere, che poi si concretizza in situazioni antitetiche.
Una via di uscita è però possibile. Le regole non possono avere un depositario poiché devono avere un interprete. Le regole non possono essere imposte poiché devono essere continuamente contestualizzate. Le regole possono aiutare nel cammino, non devono indicarlo. La nostra libertà è una regola che diamo al mondo nel mentre la subiamo. Il pericolo è nell'animo e nelle azioni di chi si erge a custode del simulacro della regola.
"Che poi quanto vidi all'abbazia (e di cui dirò dopo) mi ha fatto pensare che spesso sono gli inquisitori a creare gli eretici. E non solo nel senso che se li figurano quando non ci sono, ma che reprimono con tanta veemenza la tabe eretica da spingere molti a farsene partecipi, in odio a loro. Davvero, un circolo immaginato dal demonio, che Dio ci salvi."
(Umberto Eco, Il nome della rosa, RCS Libri, Milano (1980) 2011, pag. 71)
Dal gioco delle contrapposizioni nasce e cresce la tragedia della persecuzione in un contrappunto continuo di violenza ed esclusione. La regola che esclude è la stessa regola che poi infierisce e colpisce. La perversione del macabro incastro è che poi sono gli stessi esclusi che, per combattere lo stato di permanente sofferenza, attaccano la regola e nell'attaccarla consegnano nelle sue mani la più valida giustificazione al massacro.
"La vita dei semplici, Abbone, non è illuminata dalla sapienza e dal senso vigile delle distinzioni che ci fa saggi. Ed è ossessionata dalla malattia, dalla povertà, fatta balbuziente dall'ignoranza. Spesso per molti di essi l'adesione a un gruppo eretico è solo un modo come un altro di gridare la propria disperazione."
(Umberto Eco, Il nome della rosa, RCS Libri, Milano (1980) 2011, pag. 214)
Per questi motivi dovremmo condannare qualsiasi pratica di esclusione. Dalla pratica più insignificante fino a giungere a quelle più radicate nel nostro animo. Il male non manca mai. Non manca mai la benzina sul fuoco. L'obiettivo è proprio questo: spegnere il fuoco.
"I lebbrosi esclusi vorrebbero trascinare tutti nella loro rovina. E diverranno tanto più cattivi quanto più tu li escluderai, e quanto più tu te li rappresenti come una corte di lemuri che vogliono la tua rovina, tanto più loro saranno esclusi. San Francesco capì questo, e la sua prima scelta fu di andare a vivere tra i lebbrosi. Non si cambia il popolo di Dio se non si reintegrano nel suo corpo gli emarginati."
(Umberto Eco, Il nome della rosa, RCS Libri, Milano (1980) 2011, pag. 283)
Quindi come fa l'uomo a comprendere la giustezza di una regola, a farla propria, a viverla senza imporla ovvero senza creare esclusioni di sorta? Non facendo ad altri quello che non vorremmo fosse fatto a noi stessi.
"Così Dio conosce il mondo, perché lo ha concepito nella sua mente, come dall'esterno, prima che fosse creato, mentre noi non ne conosciamo la regola, perché vi viviamo dentro trovandolo già fatto."
(Umberto Eco, Il nome della rosa, RCS Libri, Milano (1980) 2011, pag. 308)
Noi non conosciamo la regola del mondo che viviamo ma possiamo conoscere la regola che governa il piccolo mondo della nostra individualità: non devo fare a qualcun altro qualcosa che non vorrei mai fosse fatta a me. Il mondo non ha un'etica. L'uomo ha un'etica.
L'obiettivo minimo dell'esistenza: garantirsi uno spazio di felicità. Nessuno è nelle condizioni di portare il paradiso in terra. Tutti possiamo difendere con la vita lo spazio di bellezza e di gioia che ogni giorno ci ritagliamo nel male che ci circonda. Non dovrebbe mai mancare il coraggio di farlo.
"Al villano che ride, in quel momento, non importa di morire: ma poi, cessata la sua licenza, la liturgia gli impone di nuovo, secondo il disegno divino, la paura della morte. E da questo libro potrebbe nascere la nuova e distruttiva aspirazione a distruggere la morte attraverso l'affrancamento dalla paura."
(Umberto Eco, Il nome della rosa, RCS Libri, Milano (1980) 2011, pag. 669)
"Forse il compito di chi ama gli uomini è di far ridere della verità, fare ridere la verità, perché l'unica verità è imparare a liberarci dalla passione insana per la verità."
(Umberto Eco, Il nome della rosa, RCS Libri, Milano (1980) 2011, pag. 693)