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L'approccio razionale di Karl Popper al disvelamento dei problemi riguardo la ricostruzione sociale procede in negativo, nel senso che cerca di trovare una strada a partire da quelle che sicuramente non ha intenzione di percorrere . In altre parole, per arrivare a capire qual è l'obiettivo da perseguire, ritiene necessaria una chiara disamina di quegli obiettivi che, senza dubbio, non accetta .

La critica di Popper parte dall'analisi delle filosofie sociali (raggruppate nella definizione di storicismo) i cui pregiudizi frenano o eliminano le possibilità di riforma democratica. Per storicismo egli intende quel particolare modo di pensare che, con la pretesa di avere scoperto le leggi della storia capaci di mettere in grado gli individui di profetizzare il corso degli eventi storici, ritiene sia compito delle scienze sociali fornire profezie storiche a lungo termine. Il risultato è imporre il credo di un futuro indipendente dall'uomo, già definito dalle necessità storiche. E' il tentativo di privare gli individui della loro potenzialità di azione e di pensiero facendo leva sul sogno di preannunciare eventi incombenti e di prevederne l'esito. E' la risposta rassicurante alla sfida che gli elementi accidentali, imprevisti, casuali dell'esperienza quotidiana pongono all'esistenza . Ma la profezia, l'istinto tribale di spogliarsi della precarietà, chiude l'individuo, e per estensione intere società, nell'impotenza della ragione sottomessa al capriccio dell'irrazionalismo. Il riscatto, secondo Popper, da questa condizione è la società aperta, la società che libera le capacità critiche dell'individuo affinché diventi l'unico artefice del proprio destino e si liberi dalla ciarlataneria di falsi profeti. La struttura istituzionale democratica, per quanto necessiti di un continuo perfezionamento, è la forma di governo, ad oggi, migliore in cui possa svilupparsi una società aperta, non solo in quanto attua riforme senza l'uso della violenza (regole che permettono il cambiamento e che limitano il potere), ma anche perché fa uso della ragione in campo politico (libertà nell'uguaglianza e convivenza nella diversità).

"La tendenza dello storicismo (e delle visioni ad esso connesse) a fare da supporto alla rivolta contro la civiltà può essere dovuta al fatto che lo storicismo stesso è, in larga misura, una reazione contro il peso della nostra civiltà e il suo impegno di responsabilità personale"(1). Per mantenere aperta la società è necessario accettare la difficoltà richiesta dall'impegno di responsabilità personale, e non cedere alla semplicità dell'astensionismo, alla grettezza della rinuncia, alla comodità dell'ignoranza: ognuno deve rispondere delle proprie azioni e dei propri comportamenti, rendendone ragione e subendone le conseguenze. La libertà comporta responsabilità, il gravoso trovarsi continuamente di fronte a scelte, a prendere decisioni difficili e  saperne accettare  le  conseguenze. I mediocri si esimono da questa responsabilità e antepongono l'istinto dell'utile personale alla passione di realizzare, o contribuire a mantenere, qualcosa  di unico e fragile come la società aperta dello stato democratico. L'individuo eccellente, invece, nelle difficoltà dell'impegno e della responsabilità, si comporta in modo riflessivo ed equilibrato, tenendo sempre consapevolmente presenti i pericoli e i danni che i propri atti o le proprie decisioni potrebbero comportare per sé e per gli altri, e cercando di evitare ogni comportamento dannoso. Accetta la sfida. Desidera realizzare ed esprimere, fino in fondo, le proprie potenzialità piuttosto che rintanarsi nell'indifferenza della rinuncia oppure affidarsi di continuo all'agire e alle idee altrui secondo la vaghezza dell'istinto che, in politica, è il tutore della violenza e dell'imposizione del potere. Anche e soprattutto se ciò impone la continua rimessa in discussione di se stessi e la necessità di un ininterrotto misurarsi con la molteplicità degli stimoli della realtà.  "E' l'effetto stressante prodotto dallo sforzo che la vita in una società aperta e parzialmente astratta richiede continuamente da noi - con l'esigenza di essere razionali, di rinunziare ad alcuni almeno dei nostri bisogni sociali emozionali, di badare a noi stessi e di accettare le responsabilità . Noi dobbiamo, io credo, sopportare questo effetto stressante (2) come il prezzo da pagare per ogni accrescimento di conoscenza, di ragionevolezza, di cooperazione e di reciproco aiuto e, quindi, delle nostre possibilità di sopravvivenza e dell'entità della popolazione . E' il prezzo che dobbiamo pagare per essere umani ."(3)


Il nucleo centrale della dottrina storicistica è l'idea secondo cui la storia è controllata da specifiche leggi evolutive la cui scoperta può metterci in condizione di profetizzare il destino degli individui . Due aspetti caratterizzano questa dottrina : il gruppo ed il fine. Lo storicismo insiste sull'importanza del gruppo inteso come insieme di individui che entrano in relazione sulla base di interessi, caratteri, ideali o principi comuni e che interagiscono tra loro, spesso in modo diretto. Distinti uno dall'altro, sono  riuniti insieme in un tutto unico senza il quale il singolo perde totalmente di importanza e significato. Il secondo aspetto, comune a molte teorie filosofiche e teologiche, è l'escatologia: la dottrina del fine ultimo secondo la quale i destini finali dell'esistenza sono già stati posti e all'individuo non rimane che sopportare un durante di cui è solo una fugace apparizione.
Sia la centralità del gruppo che la dottrina del fine ultimo rappresentano chiaramente la totale assenza di uno spazio di libertà individuale e costringono l'individuo alle catene della contingenza, impedendogli di diventare decisore della propria esistenza. Anche se risulta quasi puerile "l'inganno irrazionale" alla base dell'analisi metodologica dello storicismo che pretende di fornire certezze inconfutabili prima ancora che si realizzino, certo fa paura constatare che fino ad oggi, in nome di quelle certezze poste in un futuro imprecisato, le filosofie sociali di dottrina storicistica hanno reso e rendono lecito qualsiasi atto pur di arrivare all'obiettivo. Giustificano il fine con ogni mezzo. Questo atteggiamento svuota completamente di senso la vita umana, le toglie specificità raggelandone il carattere imprevedibile ed irripetibile in una parola, "destino". "La questione di fondo, a mio avviso, è che dobbiamo essere consapevoli del fatto che esistono possibilità aperte . Ed è questo che intendo quando dico che il futuro è aperto . Fra tutte queste possibilità c'è quella, per noi, di influire su quello che avviene con le nostre speranze e le nostre valutazioni ."(4)

Uno dei primi storicisti, secondo Popper, è stato Platone, il "teorico del totalitarismo" . Nella costruzione filosofica di Platone è interesse dello stato ideale  bloccare ogni cambiamento mediante il mantenimento di una rigida divisione di classi e l'instaurazione di un governo di classe che operi secondo giustizia, intesa come "utile del più forte" nel perfetto equilibrio delle parti sociali che adempiono, ciascuna, al proprio compito . Per mantenere e rafforzare la stabilità dello stato il governo totalitario di classe deve fondarsi sui principi del privilegio naturale (se in natura si nasce diversi, con delle attitudini piuttosto che altre, è compito dello stato indirizzarle e bloccarle nell'ambito del lavoro, della guerra o del comando, affinché sia definitivo chi governa e chi è governato e, di conseguenza, efficace l'esercizio del potere) e del collettivismo (ciascun individuo si riconosce nel gruppo   di appartenenza e sacrifica ad esso le proprie energie in quanto solo il gruppo gli rende vivibile un mondo che da solo non può costruire; il singolo è in debito permanente nei confronti del gruppo). Secondo Platone,  l'individuo  e la sua libertà, l'esperienza particolare e la  mutevolezza  dell'accadere, devono piegarsi al "tutto collettivo" in quanto tale  e ai dettami della giustizia che protegge, nell'unità e nella  stabilità, il corpo collettivo. La vita del singolo deve ridursi ad un "sacrificio" per l'ottimizzazione dello stato, nel senso che ogni energia deve essere spesa per accrescere l'interesse dello stato, perseguendo ciò che lo rafforza  e reprimendo ciò che lo minaccia . Intimoriscono le implicazioni di  questa teoria collettivistica e totalitaria secondo la quale la forza garantisce allo stato la giustificazione per compiere anche azioni sbagliate, sia nella violenza perpetrata ai danni dei propri cittadini, sia nell'aggredire altri stati per accumulare ulteriore  forza. E' il tentativo di  reprimere le  tendenze egualitarie, individualistiche e protezionistiche  del tempo,  rilanciando le rivendicazioni del "tribalismo" attraverso una teoria morale totalitaria.


Secondo Popper, infatti, al totalitarismo di Platone si contrappose l'egualitarismo (o umanitarismo), un  movimento di pensiero nato nella Grecia antica dalle idee di eminenti personaggi (come Pericle, Euripide, Licofrone, Protagora, Democrito, Gorgia , Socrate e molti altri ancora) che mirava all'eliminazione dei privilegi naturali, fondandosi sul principio generale dell'individualismo e sul principio che deve essere compito e fine dello stato quello di proteggere la libertà dei cittadini . Secondo la teoria egualitaria, i cittadini dello stato dovevano essere trattati imparzialmente, quindi a prescindere dalla nascita, dalla famiglia o dalla ricchezza posseduta, affinché certi privilegi fossero conferiti solo ai membri della comunità politica che si erano distinti per merito nella loro  capacità di azione. Assicurare dei privilegi politici in base alle differenze naturali di carattere, infatti, nascondeva il grande rischio di affidare lo stato all'ereditarietà dei ruoli anziché alla capacità di rivestirli. L'individualismo erodeva la rigida divisione di classe affermando l'autonomia, il valore preminente ed i diritti del singolo rispetto alla collettività di cui faceva parte: allo stato non si chiedeva più la protezione di uno o di alcuni, ma di tutti, nei limiti di quella libertà che, nella convivenza, non danneggia gli altri  cittadini. Tanta libertà per ognuno quanto è compatibile con quella degli altri. Lo stato democratico veniva ipotizzato come dimostrazione che è possibile una approssimativa determinazione del grado di libertà che si può lasciare ai cittadini senza mettere in pericolo quella libertà la cui protezione è compito dello stato. Prendeva definitivamente forma l'idea di "protezionismo", la garanzia che lo stato assicura qualsiasi genere di libertà nei limiti della legge (intesa come patto per mezzo del quale gli uomini si garantiscono reciprocamente giustizia e come strumento per la protezione dei cittadini contro eventuali atti di ingiustizia di altri cittadini o dello stesso stato). L'obiettivo di fondo era la protezione del debole dal rischio di essere sopraffatto dal forte.

"Chi deve reggere lo stato?" è la domanda che Platone ha posto alla base dell'elaborazione politica. I teorici ed i filosofi della politica hanno sempre cercato di fornire una valida risposta per giustificare e legittimare il potere, senza però rendersi conto che la domanda può risultare sviante in quanto, nella ricerca della giustificazione del potere (nel senso che a qualcuno o a qualche gruppo inerisca l'attributo della sovranità sugli  altri )  conduce al paradosso.  Se,  infatti, si presuppone un potere politico essenzialmente incontrollato, si presuppone che l'individuo o il gruppo che detiene il potere si possa rafforzare senza limiti, ed il problema essenziale diventa quello di trovare il modo di  mettere il potere nelle mani migliori. Ma nessun potere politico è mai stato incontrollato in quanto è limitato per natura chi lo esercita:  nessun potere politico umano  può essere assoluto e   illimitato. L'esercizio del potere anche da parte dell'individuo più potente che sia mai esistito, deve per forza dipendere dai suoi aiutanti, che a loro volta dipendono da altri aiutanti, e così via nella scala gerarchica che dissolve l'idea monolitica del potere. Questa dipendenza significa che il potere, per quanto grande sia, non è affatto incondizionato. Popper, per parte sua, ribalta completamente i termini della questione, esprimendo il problema della politica in un altra forma : "Come possiamo organizzare le istituzioni politiche in modo da impedire che i governanti cattivi o incompetenti facciano troppo danno?"(5). Non conta chi deve comandare, ma come controllare chi comanda. Secondo Popper bisogna sforzarsi di realizzare il controllo istituzionale dei governanti bilanciando i loro poteri mediante la contrapposizione di altri poteri. La sua "teoria dei freni e dei contrappesi" si fonda essenzialmente sull'esistenza di  istituzioni democratiche che forniscano  ai governati i mezzi (per esempio libere elezioni generali) attraverso i quali si possano sostituire governanti incapaci o dannosi. "La società aperta non è partecipazione, ma controllo, indefinita soluzione di problemi tramite l'eliminazione degli errori di chi ha avanzato proposte per risolverli. E la democrazia vive se l'iniziativa di chi governa è messa alla prova  dalla critica di chi si oppone . Esattamente come nella scienza. Una democrazia senza opposizione non può esistere, come non può esistere una scienza senza controlli. L'alternativa è la società chiusa, dogmatica"(6). Dipende dai cittadini dello stato democratico costruire, perfezionare e proteggere le istituzioni politiche, inventate sia per poter convivere con altri individui portatori di idee e ideali contrastanti sia per evitare la tirannide, poiché le istituzioni non migliorano se stesse. "Non scegliamo la libertà politica perché ci promette questo o quello. La scegliamo perché rende possibile l'unica forma di convivenza umana degna dell'uomo; l'unica forma in cui possiamo essere pienamente responsabili di noi stessi"(7). Il problema del miglioramento delle istituzioni, di  cui gli   individui sono responsabili in  quanto artefici delle istituzioni, è sempre un problema che riguarda le  persone, e compito dello stato è quello di garantire ai suoi cittadini un'educazione che li fornisca degli strumenti per conoscere le istituzioni democratiche ed i modi per migliorarle, nella libera partecipazione alla vita della comunità, ed attraverso qualunque mezzo sviluppi particolari interessi e inclinazioni. Se il fine educativo del totalitarismo è l'indottrinamento, il plagio lobotomizzante, quello dell'egualitarismo democratico è la stimolazione del pensiero critico in generale che solo garantisce l'indipendenza intellettuale. Il debito di fondo si paga all'intuizione socratica delle limitazioni proprie di ciascuno che invece di frenare l'individuo, ne stimolano il fervido interesse per l'umanità, per gli affari umani e la loro comprensione. L'opposto, invece, è rappresentato dall'educazione filosofica  di Platone per la formazione della classe dirigente eletta, chiusa alla critica e limitata dalla contraddizione tra la fissità del proprio ripetersi ed il mutare continuo della realtà circostante. La sovranità del re filosofo, quell'ultimo giro di vite alla costruzione dello stato ideale, probabilmente conclude e consacra il malcelato desiderio di potere che aveva caratterizzato l'intero approccio politico di Platone. "Quale monumento di umana piccolezza è quest'idea del re-filosofo! Quale contrasto fra essa e la semplicità e umanità di Socrate che ammoniva l'uomo di stato a guardarsi dal pericolo di lasciarsi abbagliare dal proprio potere, dalla propria superiorità e dalla propria sapienza e che cercava di fargli capire ciò che conta più di tutto - che noi tutti siamo fragili esseri umani. Che caduta da questo mondo di ironia e ragione e veracità al regno platonico del saggio i cui magici poteri lo sollevano al di sopra degli uomini comuni; benché non abbastanza in alto da rinunziare all'uso delle menzogne o ripudiare la meschina attività di ogni sciamano - la distribuzione di formule magiche, la fabbricazione di formule magiche, in cambio del potere sui suoi simili ."(8)


L'approccio "utopico" di impronta platonica, per cui ogni azione razionale deve avere un determinato fine, che tradotto in termini politici significa avere un modello della società alla quale aspirare, si contrappone all'approccio "gradualistico" di Popper che, piuttosto di anelare al bene perfetto, cerca di individuare e combattere i più gravi e più urgenti mali della società (se non esiste un criterio razionale in grado di stabilire quale sia la società perfetta, ne esiste di certo uno per stabilire quali sono i mali pubblici). Una lotta sistematica contro la sofferenza, l'ingiustizia e la guerra è destinata a riscuotere l'appoggio, l'approvazione e il consenso di una gran parte della popolazione più verosimilmente della lotta per l'instaurazione di qualche ideale. Il metodo gradualistico supera la grave difficoltà pratica di ogni ragionevole riforma politica, attuando il cambiamento attraverso l'uso della ragione, invece che della passione e della violenza. L'obiettivo è sempre la possibilità di raggiungere un compromesso ragionevole, e quindi ottenere il miglioramento con metodi democratici . In contrasto, il tentativo "utopico" di realizzare uno stato ideale, usando un modello globale di società, richiede un forte potere centralizzato di pochi, una dittatura che prima stabilisce un fine politico ultimo, e poi comincia a muoversi verso di esso . Qui sta la contraddizione tra pretesa iniziale e situazione finale, poiché è, senza dubbio, inevitabile che il fine sia considerevolmente modificato durante il processo della sua realizzazione, trattandosi non solo di azioni diverse che interagiscono imprevedibilmente fra di loro, ma anche di una realtà che ha come caratteristica fondante la mutevolezza e la precarietà. Il fine non sarà mai quello che ci si era posti all'inizio. Se si vuole restare davvero coerenti, è necessario che ad ogni uomo sia riconosciuto, se lo vuole, il diritto di foggiarsi da sé la propria vita, nella misura in cui non ne risulta impedito l'analogo diritto degli altri. Da un lato, quindi, il metodo gradualistico di costruzione del mondo sociale in cui molti errori possono essere eliminati mediante un lungo e laborioso processo di piccoli aggiustamenti, e dall'altro l'utopia platonica, che consegna intere comunità politiche nelle mani dell'irrazionalismo, i cui "adepti" vegliano nella disperata speranza di miracoli politici, fiduciosi nel sogno del mondo perfetto che gli hanno costruito nella testa. Se la fallibilità dell'individuo non gli consente di possedere un metodo per evitare che l'irrazionalismo produca i mostri della tirannide, certo gli permette di non arrendersi a quei mostri, e, grazie alla ragione, di insegnare, migliorare e difendere la libertà, il più grande dei suoi valori. "Le istituzioni politiche democratiche devono innanzi tutto preoccuparsi della salvaguardia della libertà, e in particolare della libertà di salvaguardare la libertà stessa, e quindi di prevenire una tirannia irrevocabile"(9). La democrazia deve fondarsi sulla fede nella ragione. L'insegnamento di Socrate è essenziale a riguardo : bisogna aver fede nella ragione umana, strumento universale di comunicazione, e, nello stesso tempo, guardarsi dal dogmatismo, diffidando sia di chi disprezza la teoria e la ragione, sia dell'atteggiamento trascendentale di idolatria del sapere . Ciò che conta è l'onestà intellettuale che nasce e cresce dall'autocritica e che permette di praticare la virtù della "dotta ignoranza", poiché lo scopo autentico della vita umana è la cura di sé, la cura dell'anima che domina il proprio corpo. La temperanza è lo stato ideale dell'uomo che permette di ragionare, di amare la verità, la gentilezza, l'umanità, la bellezza e la bontà. Sono queste cose che rendono la vita umana degna di essere vissuta. La ragione umanizza, rende possibile l'uscita dallo stato ferino di natura e permette  all'individuo di diventare un essere autosufficiente con un proprio valore intrinseco. Nel momento in cui si fonda la propria vita sulla ragione, ed attraverso la capacità di critica si avverte il richiamo delle responsabilità personali e, con esso, anche la responsabilità di cooperare all'avanzamento della conoscenza, è impossibile ritornare ad uno stato di implicita sottomissione alla magia tribale. "Per coloro che hanno assaggiato il frutto dell'albero della conoscenza, il paradiso è perduto"(10) .


ll razionalismo di Popper considera la realtà governata da un principio intelligibile , accessibile al pensiero, che sprona alla conoscenza del mondo in cui si vive. Il movimento della conoscenza non si riduce al solo tratto individuo-mondo (imparare dall'esperienza), ma comprende anche una quantità infinita di tratti individuo-individuo (imparare dalla convivenza). Questi tratti di relazioni umane implicano un atteggiamento di disponibilità a prestare ascolto agli argomenti critici degli altri, a trovare un compromesso anche nel conflitto di interessi divergenti. Il razionalista desidera comprendere il mondo ed imparare discutendo con gli altri. Nella conoscenza, intesa come continua ricerca della verità, è necessaria la cooperazione  che, grazie al dibattito, può talvolta giungere all'obiettività. Il razionalismo è la consapevolezza dei limiti dell'individuo, è la modestia intellettuale di chi "sa di non sapere" e desidera superare questo limite con la collaborazione con altri individui. E' la consapevolezza che nonostante la ragione sia fallibile, nonostante il dibattito raramente risolva un problema, almeno c'è la certezza che è il solo mezzo per imparare almeno a vedere più chiaramente di prima, poiché "per il razionalismo il concetto di dibattito, di argomentazione contraddittoria costituisce una condizione fondamentale. Non vi è razionalismo se non si accetta che tutte le questioni e tutti i problemi siano affidati a una discussione aperta, pubblica, contraddittoria; non deve esistere nessun valore assoluto in nome del quale si possa pretendere di far tacere il dibattito a un dato momento."(11)

Con il termine irrazionalismo Popper condanna la fiducia cieca di coloro che pensano di avere doti intellettuali tali da ritenersi degli iniziati che conoscono con certezza ed autorità. Questa cieca fiducia nel possesso di un infallibile strumento di scoperta, o di un infallibile metodo, è l'incapacità di distinguere fra le capacità intellettuali di un individuo e il suo debito verso gli altri per tutto quello che può conoscere o comprendere, e la rottura di quella molteplicità di tratti individuo-individuo su cui il razionalismo ritiene di potere conoscere al realtà. Certo non si possono negare le disuguaglianze che caratterizzano gli individui umani, e non c'è dubbio che questa disuguaglianza è di grande importanza (e anche, per certi versi, quanto mai  desiderabile). Ma tutto ciò non cambia il fatto che, in sede politica, bisogna trattare gli individui come uguali o, almeno, il più uguali possibile, poiché ogni individuo è dotato di pari diritti e di pari pretese a un trattamento uguale e le istituzioni politiche vigilano per soddisfare questa esigenza. E' il governo delle istituzioni controllate dalla ragione. Il razionalismo è quindi connesso con l'idea che il nostro simile ha il diritto di essere ascoltato e di difendere le proprie tesi. Esso così implica l'accettazione del principio della tolleranza, almeno nei confronti di tutti coloro che non sono intolleranti . "La tolleranza è necessaria conseguenza della convinzione di essere uomini fallibili : errare è umano e tutti noi commettiamo continuamente errori.  Perdoniamoci dunque l'un l'altro le nostre follie"(12) , senza dimenticare che "abbiamo non soltanto il diritto, ma il dovere di rifiutare di essere tolleranti verso coloro che cospirano per distruggere la tolleranza"(13) . Non solo prestare ascolto ma anche rispondere, replicare laddove le nostre azioni toccano gli altri. Il razionalismo risulta in questo modo connesso con il riconoscimento della necessità di istituzioni sociali atte a proteggere la libertà di critica, la libertà di pensiero, e così la libertà degli uomini. Se il razionalismo è critico, l'irrazionalismo è dogmatico: la critica richiede sempre un certo grado di immaginazione, mentre il dogmatismo la sopprime . "Ma la ragione, sostenuta dall'immaginazione, ci mette in condizione di comprendere che gli uomini che sono molto lontano da noi e che non vedremo mai sono come noi e che i loro rapporti reciproci sono come i nostri rapporti con coloro che amiamo . Un atteggiamento emozionale diretto verso l'astratta totalità del genere umano non mi sembra  possibile . Noi possiamo amare il genere umano soltanto in determinati individui concreti . Ma mediante l'uso del pensiero e dell'immaginazione, possiamo renderci pronti ad aiutare tutti coloro che hanno bisogno del nostro aiuto"(14). Poiché il principio generale di politica pubblica della società aperta è quello di ridurre al minimo le sofferenze che possono essere evitate ed "anziché incoraggiare alla costruzione dell'utopia, fa sì che ci si dia da fare per risolvere i problemi e che ci si sforzi ad eliminare quei mali sociali che determinano la sofferenza degli esseri umani" (15). Sulle basi di questo principio, la società si aprirà a più valori, a più visioni del mondo, permettendo l'incontro di idee, ideali, critiche e proposte per la soluzione dei problemi. La società rimarrà aperta al maggior numero possibile di individui, ma non a tutti, poiché si chiuderà agli intolleranti.


 

 

(1) Karl R. Popper, La società aperta e i suoi nemici, Armando Editore, Roma 1996, p.20 .

 

(2) Nella spiegazione offerta da Popper dell'attrazione esercitata dal totalitarismo ha un rilievo pressoché centrale il concetto socio-psicologico di "stress della civiltà", che è connesso, come egli riconosce, a quello formulato da Freud in Il disagio della civiltà .

(3) Karl R. Popper , op. cit. , p.248-249 .

(4) Karl R. Popper, "Intervista", in Informazione Filosofica,  n.26,  Novembre 1995, p.8 .

(5) Karl R. Popper, La società aperta e i suoi nemici, p.174 .

(6) Stefano Gattei, Karl Popper . La ricerca non ha fine, Società Aperta Edizioni, Milano 1997, p.29 .

(7) Karl R. Popper, Tutta la vita è risolvere problemi, Rusconi, Milano 1996, p.160 .

(8) Karl R. Popper, La società aperta e i suoi nemici, p.219 .

(9) Stefano. Gattei, op. cit., p.29 .

(10) Karl R. Popper, La società aperta e i suoi nemici, p.279 .

(11) Jean-Pierre Vernant, Tra mito e politica, Raffaello Cortina Editore, Milano 1998, p.79 .

(12) Karl R. Popper, Alla ricerca di un mondo migliore , Armando Ed., Roma 1989, p. 193

(13) Karl R. Popper, "Tolleranza e responsabilità intellettuale", in AA.VV., Saggi sulla tolleranza, Il Saggiatore, Milano 1990, p.36 .

(14) Karl R. Popper, La società aperta e i suoi nemici, p.315 .

(15) Bryan Magee, Il nuovo radicalismo in politica e nella scienza, Armando Ed., Roma 1975, p.99 .

 

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