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L'approccio razionale di Karl Popper al disvelamento dei problemi riguardo la ricostruzione sociale procede in negativo, nel senso che cerca di trovare una strada a partire da quelle che sicuramente non ha intenzione di percorrere . In altre parole, per arrivare a capire qual è l'obiettivo da perseguire, ritiene necessaria una chiara disamina di quegli obiettivi che, senza dubbio, non accetta .

La critica di Popper parte dall'analisi delle filosofie sociali (raggruppate nella definizione di storicismo) i cui pregiudizi frenano o eliminano le possibilità di riforma democratica. Per storicismo egli intende quel particolare modo di pensare che, con la pretesa di avere scoperto le leggi della storia capaci di mettere in grado gli individui di profetizzare il corso degli eventi storici, ritiene sia compito delle scienze sociali fornire profezie storiche a lungo termine. Il risultato è imporre il credo di un futuro indipendente dall'uomo, già definito dalle necessità storiche. E' il tentativo di privare gli individui della loro potenzialità di azione e di pensiero facendo leva sul sogno di preannunciare eventi incombenti e di prevederne l'esito. E' la risposta rassicurante alla sfida che gli elementi accidentali, imprevisti, casuali dell'esperienza quotidiana pongono all'esistenza . Ma la profezia, l'istinto tribale di spogliarsi della precarietà, chiude l'individuo, e per estensione intere società, nell'impotenza della ragione sottomessa al capriccio dell'irrazionalismo. Il riscatto, secondo Popper, da questa condizione è la società aperta, la società che libera le capacità critiche dell'individuo affinché diventi l'unico artefice del proprio destino e si liberi dalla ciarlataneria di falsi profeti. La struttura istituzionale democratica, per quanto necessiti di un continuo perfezionamento, è la forma di governo, ad oggi, migliore in cui possa svilupparsi una società aperta, non solo in quanto attua riforme senza l'uso della violenza (regole che permettono il cambiamento e che limitano il potere), ma anche perché fa uso della ragione in campo politico (libertà nell'uguaglianza e convivenza nella diversità).

"La tendenza dello storicismo (e delle visioni ad esso connesse) a fare da supporto alla rivolta contro la civiltà può essere dovuta al fatto che lo storicismo stesso è, in larga misura, una reazione contro il peso della nostra civiltà e il suo impegno di responsabilità personale"(1). Per mantenere aperta la società è necessario accettare la difficoltà richiesta dall'impegno di responsabilità personale, e non cedere alla semplicità dell'astensionismo, alla grettezza della rinuncia, alla comodità dell'ignoranza: ognuno deve rispondere delle proprie azioni e dei propri comportamenti, rendendone ragione e subendone le conseguenze. La libertà comporta responsabilità, il gravoso trovarsi continuamente di fronte a scelte, a prendere decisioni difficili e  saperne accettare  le  conseguenze. I mediocri si esimono da questa responsabilità e antepongono l'istinto dell'utile personale alla passione di realizzare, o contribuire a mantenere, qualcosa  di unico e fragile come la società aperta dello stato democratico. L'individuo eccellente, invece, nelle difficoltà dell'impegno e della responsabilità, si comporta in modo riflessivo ed equilibrato, tenendo sempre consapevolmente presenti i pericoli e i danni che i propri atti o le proprie decisioni potrebbero comportare per sé e per gli altri, e cercando di evitare ogni comportamento dannoso. Accetta la sfida. Desidera realizzare ed esprimere, fino in fondo, le proprie potenzialità piuttosto che rintanarsi nell'indifferenza della rinuncia oppure affidarsi di continuo all'agire e alle idee altrui secondo la vaghezza dell'istinto che, in politica, è il tutore della violenza e dell'imposizione del potere. Anche e soprattutto se ciò impone la continua rimessa in discussione di se stessi e la necessità di un ininterrotto misurarsi con la molteplicità degli stimoli della realtà.  "E' l'effetto stressante prodotto dallo sforzo che la vita in una società aperta e parzialmente astratta richiede continuamente da noi - con l'esigenza di essere razionali, di rinunziare ad alcuni almeno dei nostri bisogni sociali emozionali, di badare a noi stessi e di accettare le responsabilità . Noi dobbiamo, io credo, sopportare questo effetto stressante (2) come il prezzo da pagare per ogni accrescimento di conoscenza, di ragionevolezza, di cooperazione e di reciproco aiuto e, quindi, delle nostre possibilità di sopravvivenza e dell'entità della popolazione . E' il prezzo che dobbiamo pagare per essere umani ."(3)

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