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La malvagità della natura umana, che si manifesta in quei luoghi dove nessun freno giuridico ha saputo moderare e disciplinare i rapporti umani, e la cattiveria istintiva, radicata nella tendenza a commettere torti agli altri, trovano una controparte nel bisogno di "socievolezza" degli individui, "vale a dire nel fatto che nessun uomo può vivere solo, che gli uomini sono interdipendenti non solo nei loro bisogni e nelle loro cure ma anche per quanto riguarda la loro somma facoltà, la mente, che non può funzionare al di fuori della società umana"(4). Kant ne deduce che, per quanto il cammino dell'umanità sia segnato da guerre e da violenze, da rapine e da stragi, è un cammino irrimediabilmente "diretto verso il meglio" che attraverso la dolorosa e apparente casualità degli avvenimenti storici, permette all'uomo di maturare l'esigenza del bene e l'idea del diritto, che esprimono il suo bisogno di sicurezza. "Ciò che fornisce tale garanzia non è altro che la grande artefice Natura (natura daedala rerum), dal cui corso meccanico scaturisce evidente la finalità di trarre dalle discordie degli uomini, anche contro la loro volontà, la concordia"(5). Da un lato, quindi, l'essere umano teleologico che continuamente si propone scopi e fini, dall'altro la natura, a cui quegli scopi e quei fini appartengono, che procede a prescindere dagli individui : ciò che trascurano di fare, lo fa lei stessa, ma senza riguardi nei loro confronti . "Ciò che conta nella storia, la cui casuale, contingente malinconia Kant non ha mai dimenticato, non sono le storie, non sono gli individui storici, non è ciò che gli uomini hanno fatto nel bene o nel male, ma l'astuzia segreta della natura, che ha reso possibile il progresso della specie e lo sviluppo delle sue potenzialità nel succedersi delle generazioni"(6).

A questo punto potrebbe sembrare che il punto di vista finalistico assunto da Kant per trovare il "filo conduttore" della storia umana (il progredire incessante dell'umanità voluto dalla natura(7)) annulli senza scampo la libertà dell'uomo. Ma così non è, in quanto ciò che da un punto di vista di causa-effetto è inteso come necessità, assume il carattere non solo di libertà ma anche di  dovere, se viene considerato dal punto di vista dell'individuo . Egli non si sottrae alla spinta della natura se l'agire in quella direzione è un comando della ragione (imperativo morale). Sottomesso, come essere sensibile, alla causalità meccanica dell'universo, l'uomo riscatta questa soggezione penetrandola e comprendendola intellettualmente, elevando a "dovere" lo "scopo" della natura (che non può essere segreto in quanto la ragione lo comprende).  L'uomo è libero perché comprende il meccanismo della  natura ( e, forse, anche "frustrato" dal momento che la natura realizza il proprio scopo "senza riguardi" per l'individuo che si esima dal collaborare a questo disegno). L'autonomia individuale si definisce quindi nel sommarsi della libertà morale e dell'intervento effettivo dell'uomo sulla natura. Se per certi versi l'uomo appare come "essere sperduto" nell'universo, quasi irrilevante appendice della vastità, per altri si può dire che il mondo gli ruota intorno dal momento che lo può comprendere ed esplorare attivamente. La libertà dell'uomo sta, forse, nella sua incolmabile ignoranza, condizionata dal mondo in cui cerca di avventurarsi.
 

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